- Introduzione
- La parrocchia un’intuizione biblica
- La parrocchia cellula della Chiesa
- La chiesa è generata dalla Trinità
- Il giorno del Signore fa la parrocchia
- Cristiani non si nasce, si diventa
- Il volto della parrocchia
- Le aggregazioni laicali
Introduzione
Gli Orientamenti pastorali elaborati dai vescovi italiani per il primo decennio del nuovo millennio, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, considerano e riconoscono la necessità di recuperare la centralità della parrocchia, rileggendo la sua funzione storica e concreta a partire dall’Eucarestia, fonte e manifestazione del raduno dei figli di Dio e vero antidoto alla loro dispersione nel pellegrinaggio verso il Regno.
La Chiesa ha bisogno di un luogo che generi la fede nel quotidiano della vita della gente: la Chiesa ha bisogno della parrocchia! Essa, per il suo carattere popolare e diffuso tra la gente, è un bene prezioso per la vitalità dell’annuncio e della trasmissione del Vangelo. La parrocchia, infatti, “rimane in grado di offrire ai fedeli lo spazio per un reale esercizio della vita cristiana, come pure di essere il luogo di autentica umanizzazione e socializzazione, sia in contesto di dispersione e anonimato proprio delle grandi città moderne, sia in zone rurali con poca popolazione” (Ecclesia in Europa).
La parrocchia permette il radicamento della Chiesa in un luogo, essa pertanto deve sviluppare capacità d’interpretazione dei nuovi fenomeni sociali, per rendere presente nello spazio e nel quotidiano quella memoria cristiana di cui è custode e portatrice. Per tale ragione richiede sensibilità ai pastori e da evidenza al grande ruolo che i laici sono chiamati a svolgere non solo “in” parrocchia, ma, “a partire” dalla parrocchia, su tutte le frontiere, i problemi, le attese dell’uomo. Ciò comporta un cambiamento della pastorale in senso missionario, in modo che le comunità cristiane sappiano annunciare l’evangelo tra gli uomini. Se i cristiani sanno umanizzare l’ambiente in cui vivono, se agiscono sempre nell’ottica della riconciliazione e della comunione, se resistono alla barbarie incombente in una stagione come l’attuale, allora svolgono un servizio nella forma vissuta e insegnata da Gesù.
E’ in questa prospettiva che va ripensata la parrocchia, senza, tuttavia, tralasciare mai la preoccupazione che la comunità – e di conseguenza ogni cristiano- prima di essere proiettati all’evangelizzazione, alla missionarietà, giunga ad una fede matura e pensata. L’impegno dell’evangelizzazione comporta, infatti, il dovere e l’impegno di ognuno, di “crescere alla statura di Cristo” (Ef. 4,15), la necessità della testimonianza attraverso la vita e il comportamento.
L’ultimo documento della Conferenza Episcopale Italiana: Educare alla vita buona del vangelo considera la parrocchia crocevia delle istanze educative; in questo nostro tempo in cui l’esigenza educativa si fa sempre più pressante la parrocchia rappresenta nel territorio il riferimento immediato per l’educazione e la vita cristiana.
Hanno fondamentale importanza nella complessità dell’azione educativa, gli educatori, gli animatori e i catechisti che operano nella parrocchia ai quali la comunità parrocchiale deve curare oltre che la crescita umana e spirituale anche la competenza teologica culturale e pedagogica. Particolare risalto viene dato all’impegno educativo della parrocchia per le giovani generazioni che trova espressione nell’oratorio, luogo in cui la passione educativa della comunità parrocchiale si manifesta.
La parrocchia un’intuizione biblica
<La parola “parrocchia” deriva dal greco paroikìa, che significa letteralmente “presso le case” (parà-oikìa), e pàroikos è colui che risiede in situazione di “estraneità”, lontano dalla propria casa, a ridosso delle dimore altrui. La Prima lettera di Pietro chiama proprio così i cristiani, associando a questa qualifica un’altra che designa il vivere temporaneamente in terra straniera (1Pt 2,11: parepìdemons) e fornendoci un suggestivo ritratto della condizione dei cristiani nel mondo. Essi sono degli stranieri domiciliati, per i quali “ogni terra straniera è patria e ogni patria terra straniera” (Lettera a Diogneto), e il loro stile di vita può essere riassunto nel movimento del viaggiatore che nella sua quotidiana precarietà, è un “residente straniero e pellegrino”che soggiorna presso gli altri, si muove tra gli altri, ma resta uno straniero perché la sua cittadinanza vera, il suo stile di vita è nei cieli (Fil 3,20), dove non si è più stranieri e pellegrini ma ospiti di Dio. La medesima coscienza è presto assunta dalla chiesa come corpo unitario, se già alla fine del primo secolo Clemente di Roma può rivolgersi alla chiesa di Corinto in questi termini: “La chiesa di Dio che soggiorna (paroikousa) in Roma alla chiesa di Dio che soggiorna in Corinto”. Da questa testimonianza si può dedurre che il vocabolario legato al termine paroikia non si applicava alla realtà che noi conosciamo oggi come “parrocchia”, ma designava piuttosto la condizione di una chiesa locale in un determinato territorio. I cristiani che abitavano città e a volte villaggi, che conducevano una vita quotidiana sposandosi, esercitando mestieri diversi, parlando la lingua del luogo, vivevano tuttavia la consapevolezza di essere “altri” e sapevano mostrare la differenza cristiana del quotidiano, con un comportamento, uno stile di vita diverso pur nella compagnia degli uomini. Questa condizione pasquale – in base alla quale si sta nel mondo, solidali con l’umanità, ma si è cittadini del Regno – viene bene espressa dal verbo paroikeìn, “soggiornare da stranieri”, il quale dice come la parrocchia si sia edificata su un’intuizione biblica.> (La parrocchia di Enzo Bianchi)
La parrocchia cellula della Chiesa
La parrocchia è “la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie” (Esort. Ap. Christifideles laici, 26. Giovanni Paolo II); essa rende visibile la Chiesa come segno efficace dell’annuncio del Vangelo per la vita dell’uomo nella sua quotidianità e dei frutti di comunione che ne scaturiscono per tutta la società, è la forma storica privilegiata della localizzazione della Chiesa particolare: è “il nucleo fondamentale nella vita quotidiana della diocesi” (Pastores gregis).
La parrocchia è una comunità di fedeli nella Chiesa particolare, di cui è come una cellula, a cui appartengono i battezzati nella Chiesa cattolica che dimorano in un determinato territorio. In essa si vivono rapporti di prossimità, con vincoli concreti di conoscenza e di amore, e si accede ai doni sacramentali, al cui centro è l’Eucarestia; ma ci si fa anche carico degli abitanti di tutto il territorio, sentendosi mandati a tutti. Non è possibile pensare alla parrocchia se non nella comunione della Chiesa particolare, è indispensabile valorizzare i legami che esprimono il riferimento al vescovo e l’appartenenza alla diocesi. La diocesi è infatti “l’organismo cardine, nel quale principalmente si realizza l’appartenenza ecclesiale di ogni cristiano, poiché in essa sono presenti e operanti gli elementi essenziali della Chiesa voluta da Gesù Cristo: la successione apostolica, rappresentata dal vescovo con il collegio dei presbiteri e con i diaconi, l’annuncio autorevole della Parola di Dio, la celebrazione del mistero di salvezza.
Il vescovo, che svolge nella diocesi il servizio della presidenza in nome e con l’autorità si Gesù Cristo in forza della speciale effusione dello Spirito Santo ricevuta con l’ordinazione episcopale, grazie alla sua sacramentale appartenenza al collegio dei vescovi e alla comunione con il Romano Pontefice, rende sacramentalmente presente e operante la stessa chiesa universale. Attorno alla figura ministeriale del vescovo si stabilisce la forma più completa di appartenenza ecclesiale. Proprio per questo si richiede che al vescovo venga riconosciuta da parte di tutti i membri della diocesi un’attenzione amorevole sostenuta dalla fede, proporzionata al peso di responsabilità che egli è tenuto a sopportare nei loro confronti. Tale amorevole attenzione al vescovo viene espressa mediante la preghiera liturgica, la quale, mentre attualizza soprattutto nella celebrazione dell’eucaristia, la comunione con lui, intercede per il bene spirituale della sua persona.
Il servizio pastorale del vescovo si svolge in unione sacramentale con il presbiterio da lui presieduto; fanno parte del presbiterio tutti i presbiteri dimoranti e operanti nella diocesi.
E’ molto importante, per ogni cristiano, coltivare sentimenti di appartenenza alla propria Chiesa locale. Tuttavia, la diocesi, a causa dell’ampiezza del suo territorio e della sua numerosa popolazione, non può consentire a tutti un’esperienza di vita comunitaria conforme alle esigenze di una normale esistenza fraterna tra i cristiani.
E’ per questa ragione che è sorta la parrocchia, che si configura come una cellula all’interno di un organismo vivente. Essa ha il compito di far fruire in se stessa quanto è proprio della diocesi a partire dal suo legame con il vescovo e con il presbiterio diocesano. Di fatto essa è presieduta da un membro del presbiterio, il parroco, nominato dal vescovo, del quale rappresenta nella parrocchia l’autorità” (Nella Chiesa animati dallo Spirito Santo). Egli “è il pastore proprio della parrocchia affidatagli, esercita la cura pastorale della comunità sotto l’autorità del Vescovo diocesano, con il quale è chiamato a partecipare al ministero di Cristo, per compiere al servizio della comunità le funzioni di insegnare, santificare e governare” (CDC 519). “Il parroco si avvale, là dove è possibile, della ministerialità di altri presbiteri e diaconi ad essa assegnati dal vescovo, dei ministeri laici, quali lettori e accoliti, istituiti dal vescovo, di ministri straordinari della comunione eucaristica, anch’essi approvati dal vescovo e da lui stesso destinati stabilmente a servizio della parrocchia. Ha nella chiesa parrocchiale lo spazio più proprio del raduno dei suoi membri per la celebrazione liturgica, e soprattutto domenicale, e nel fonte battesimale il luogo forse più altamente simbolico dell’identità cristiana e dell’appartenenza ecclesiale.
Alla parrocchia compete la responsabilità della catechesi per l’iniziazione cristiana e per gli altri sacramenti, la celebrazione e l’amministrazione degli stessi, l’animazione e il coordinamento delle iniziative a favore dei poveri, l’opera di ricerca, di discernimento e sostegno necessaria perché ogni persona scopra e persegua la propria vocazione nella Chiesa.
La parrocchia ha la possibilità di integrare, facendo opera di coordinamento, ogni altra attività pastorale svolta nel suo territorio a qualsiasi titolo, purché legittimo, rispettando la natura, gli orientamenti programmatici, la spiritualità e lo stile propri delle aggregazioni di credenti operanti nella parrocchia, purché in possesso di un valido riconoscimento della Chiesa” (Nella Chiesa animati dallo Spirito Santo).
La chiesa locale vive così una doppia polarità: nella diocesi, presieduta dal vescovo in comunione con le altre chiese locali, e nella parrocchia, “dove si manifesta la chiesa visibile: la parrocchia è infatti l’ultima localizzazione della chiesa” (Christifideles laici 26), ma è anche la prima.
E’ nella diocesi che è significata l’identità della chiesa locale, la sua unità, la sua perseveranza nella tradizione apostolica di cui il vescovo è garante e testimone, ed è nella parrocchia che la chiesa è costantemente generata, accresciuta, solidificata, perché in essa la fede è trasmessa di generazione in generazione, il battesimo è la porta dell’appartenenza ecclesiale, l’eucarestia immette nel corpo di Cristo.
La chiesa è generata dalla Trinità
Nella chiesa (formata da tutti noi battezzati) deve esserci la stessa unione che c’è nella Trinità, dove sono presenti comunione e diversità insieme. La chiesa è apparsa nella storia sotto la forma della comunione e si è diffusa come realtà di uomini e donne chiamati a vivere una tale comunione. I cristiani non sono semplicemente dei chiamati, ma dei “chiamati insieme”, convocati all’unità dalla dispersione e dalla separazione per formare un corpo (1Cor 12,12ss), un edificio spirituale, un popolo, una gente santa (1Pt 2,5-10).
L’Eucarestia è il dinamismo della comunione: essa genera, plasma, accresce la comunione e edifica la chiesa che la celebra. La parrocchia, cellula di chiesa, deve modellare se stessa sulla forma della comunione trinitaria, forma in cui unità e diversità sono essenziali a una comunione plurale.
La parrocchia è una communitas cristiana nella quale, mediante la fede, ciascuno riceve il dono di grazia di Dio, per diventare insieme agli altri (cum) e a propria volta, dono (munus) a favore di ogni uomo o donna del mondo in cui si vive, siano essi o meno membri visibili del corpo di Cristo.
Nella communitas cristiana, la comune vocazione alla sequela di Cristo, che crea legami particolari di fraternità e di comunione, deve orientare al di là del benessere della comunità stessa e dei suoi membri. Allora, come vivere la comunione in una parrocchia? È necessario
- vivere la comunione come fraternità, fraternità significa solidarietà, capacità di assumere l’altro e volontà di apprendere sempre con la logica del sentire e operare insieme e tenendo conto gli uni degli altri: un vero e proprio stile di vita da acquisire che si concretizza in un momento di fuga dall’individualismo, dall’egoismo, dal vivere pensando a sé senza gli altri.
- La comunione deve essere un cammino ecclesiale da fare insieme, nella corresponsabilità. I doni dello Spirito Santo sono dati per essere condivisi e per contribuire alla comune edificazione del corpo ecclesiale (1Cor 12,7), affinchè la chiesa assuma pienamente e quale soggetto armonioso la responsabilità dell’annuncio evangelico nel mondo. La credibilità dell’annuncio evangelico dipende, in modo non trascurabile, dalla qualità della comunione ecclesiale e dalla capacità che ha la chiesa di compaginare i carismi nel proprio seno, senza mortificare nessuno. La corresponsabilità, infatti, non annulla la diversità delle funzioni e dei doni, ma la trascende. Il sentirci tutti responsabili nella comunità cristiana è il giusto modo di essere e di stare nella chiesa, altrimenti si deforma il corpo di Cristo.
- Apertura ad altre realtà ecclesiali: la parrocchia appartiene alla chiesa locale, e attraverso di questa all’unica Chiesa di Cristo. Essa deve far sentire concretamente questa comunione a tutti i suoi membri, mostrandosi disponibile al confronto e all’interazioni con le parrocchie della stessa diocesi, ma anche aprendosi alla conoscenza e all’incontro con altre realtà ecclesiali presenti sul territorio, sia che questa appartengano alla stessa confessione cristiana, sia che vivano in comunione con chiese sorelle. Questa apertura abituerà ogni fedele a pensare in modo autenticamente cattolico, cioè “secondo il tutto”, dilatando il proprio cuore e i propri orizzonti alla chiesa universale.
Solo attraverso questo cammino la parrocchia potrà divenire casa e scuola di comunione per tutti coloro che attendono e cercano segni di comunione in un mondo solcato da divisioni e rivalità.
Il giorno del Signore fa la parrocchia
La parrocchia è il luogo nel quale la Chiesa genera i suoi figli, e rigenera se stessa, attraverso l’iniziazione cristiana: il Battesimo, la Cresima e l’Eucarestia. E’ l’Eucarestia il sacramento che, continuamente offerto, non chiude un’esperienza, ma la rinnova ogni settimana, nel giorno del Signore. Non ci può essere domenica senza parrocchia, né parrocchia senza domenica, perché la vita della parrocchia ha il suo centro nel giorno del Signore e l’Eucarestia è il cuore della domenica: ne orienta il cammino nutrendone la vita. Quando si parla di eucarestia si deve avere in mente l’immagine delle “due mense”: la tavola della Parola donata da Dio al suo popolo e la tavola del pane e del vino eucaristici, entrambe essenziali per la celebrazione dell’alleanza nuova e definitiva.
La liturgia eucaristica così intesa è il vero fulcro, la radice, il cardine della vita della parrocchia, poiché è in essa che la chiesa nasce e cresce, è da essa che la comunità è plasmata e confermata nella comunione, è da essa che riceve la forza per essere missionaria nel mondo. L’eucaristia è edificazione della chiesa, è l’azione che rende i cristiani un solo corpo in Cristo, è l’atto che plasma, dà forma alla vita dei cristiani e della comunità nella storia. Senza l’eucarestia celebrata insieme nel giorno del Signore, i cristiani non fanno esistere la comunità cristiana. I cristiani, i battezzati che fanno riferimento a Cristo senza appartenere a una comunità, a un popolo che si manifesta tale convenendo insieme nel giorno del Signore, sono in una situazione precaria per la sequela del Signore e per la fede stessa.
La chiesa di Dio non è un movimento, ma una comunità che riunisce tutti i credenti in Cristo, affinché insieme celebrino la loro fede, speranza e carità, e insieme le vivano nella compagnia degli uomini. Quando la parrocchia celebra l’eucarestia diventa il corpo del Signore nel mondo! Da questa consapevolezza nasce l’impegno di una parrocchia – parroco e parrocchiani insieme – a far sì che la liturgia, celebrata con serietà e convinzione, sia davvero centrale e abbia un reale primato su tutta la vita ecclesiale.
La parola di Dio è cibo per la vita cristiana, e per la maggior parte dei cristiani il contatto con questa Parola avviene unicamente nella celebrazione eucaristica, il venir meno dell’annuncio della Parola e la sua spiegazione ostacola seriamente la conoscenza di Dio, unica possibilità per amare Dio e compiere la sua volontà.
All’impegno dell’annuncio deve corrispondere quello dell’ascolto, in modo che ci sia spazio per una conoscenza penetrativa, oltre che intellettuale, amorosa, che si traduce in obbedienza puntuale, in realizzazione della Parola ricevuta. Senza ascolto della Parola non c’è celebrazione dell’alleanza con Dio, perché la fonte da cui scaturisce tutto nella vita cristiana è “la parola di Dio viva ed eterna” (1Pt 1,23). La fede nasce dall’ascolto: se la parola di Dio risuona nella parrocchia, se tale Parola viva ed efficace è resa presente in ogni assemblea parrocchiale, allora potrà svilupparsi quella fede adulta e matura che, vissuta tra gli uomini e nella storia, diverrà una fede “pensata, capace di tenere insieme i vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo” (CVMC50). Senza tale centralità della parola di Dio nella vita parrocchiale, se cioè i cristiani non saranno continuamente evangelizzati, raggiunti dalla buona notizia della vita di Cristo Gesù – vita spesa per i fratelli e resurrezione da morte in favore di tutti gli uomini -, non esisterà neppure alcuna possibilità di evangelizzazione autentica e feconda!
La celebrazione eucaristica domenicale deve essere sempre più il luogo da cui ripartire per diventare corresponsabili del Vangelo e per ricondurre tutta l’esistenza – la propria e quella della comunità – quale autentico “culto spirituale” (Rm 12,1) sotto la sfera del Vangelo, per farsi servi degli uomini e non per dominarli.
Nell’Eucarestia Cristo morto e risorto è presente in mezzo al suo popolo; nell’Eucarestia e mediante l’Eucarestia lo genera e rigenera incessantemente: “La Celebrazione eucaristica è al centro del processo di crescita della Chiesa” (Ecclesia de Eucharistia). Dal costato di Cristo scaturiscono, con i sacramenti, la comunione e la missione della Chiesa. Il “Corpo dato” e il “Sangue versato” sono “per voi e per tutti”: da qui prende forma la vita cristiana a servizio del Vangelo. Il modo in cui viene vissuto il giorno del Signore e celebrata l’Eucarestia domenicale deve far crescere nei fedeli un animo apostolico, aperto alla condivisione della fede, generoso nel servizio della carità, pronto a rendere ragione della speranza.
La domenica, giorno del Signore, della sua Pasqua per la salvezza del mondo, di cui l’Eucarestia è memoriale, va difesa nel suo significato religioso, antropologico, culturale e sociale. La domenica è il giorno dell’uomo e della famiglia, giorno del riposo dal lavoro, che vorrebbe schiavizzare l’uomo, giorno in cui si riscopre il senso della festa, vista non solo come puro divertimento, ma come occasione necessaria per rinsaldare l’unità, mediante relazioni più intense tra i suoi membri, e dando valore al tempo libero, aiutando a scoprirne il senso attraverso opere creative, spirituali, di comunione e di servizio. Il giorno del Signore è anche tempo della comunione, della testimonianza e della missione.
Il confronto con la parola di Dio e il rinvigorire la confessione della fede nella Celebrazione eucaristica devono condurre a rinsaldare i vincoli della fraternità, a incrementare la dedizione al Vangelo e ai poveri. Ciò implica il convergere naturale di tutti alla comune celebrazione parrocchiale. Da ciò si comprende bene il dovere-bisogno della fedeltà alla Messa domenicale e festiva e di vivere cristianamente la domenica e le feste: non possiamo vivere senza l’eucarestia domenicale!
Cristiani non si nasce, si diventa
La parrocchia è un bene prezioso per la vitalità dell’annuncio e della trasmissione del Vangelo, per una Chiesa radicata in un luogo, diffusa tra la gente e dal carattere popolare. Essa è l’immagine concreta del desiderio di Dio di prendere dimora tra gli uomini (l’Emmanuele, che significa Dio con noi). In Essa si diventa cristiani!
Condizione primaria di ogni evangelizzazione è certamente l’accoglienza, cordiale e gratuita: tutti devono poter trovare nella parrocchia una porta aperta nei momenti difficili e gioiosi della vita; ma anche l’ospitalità, offerta a chi si rivolge alla parrocchia per chiedere qualche servizio, e che è o si sente estraneo alla comunità parrocchiale e alla Chiesa stessa, ma che non rinunzia a sostare nelle sue vicinanze, nella speranza di trovare un luogo in cui realizzare un contatto, uno spazio dove poter esprimere il disaggio e la fatica della propria ricerca, in rapporto alle attese nutrite nei confronti di Dio, della Chiesa e della religione.
La comunità parrocchiale non può disinteressarsi di ciò che oscura, nel mondo e al suo interno, la trasparenza dell’immagine di Dio e intralcia il cammino che, nella fede in Gesù, conduce al riscatto dell’esistenza. L’ospitalità cristiana, così intesa e realizzata, è il modo più eloquente con cui la parrocchia può rendere concretamente visibile che il cristianesimo e la Chiesa sono accessibili a tutti, nelle normali condizioni della vita individuale e collettiva.
L’accoglienza e l’ospitalità determinano la base essenziale per l’annuncio e l’evangelizzazione: la parrocchia ha il compito di risvegliare la domanda religiosa di molti, dando testimonianza alla fede di fronte ai non credenti, offrendo spazi di confronto con la verità del Vangelo, valorizzando e purificando le espressioni della devozione e della pietà popolare, vigilando affinché il cattolicesimo non venga sostituito da forme di folklore o di semplice religione civile, ma resti una valida soglia di ingresso nell’esperienza cristiana.
La parrocchia deve assumere un atteggiamento di ricerca, provocando la domanda dove essa tace e contrastando le risposte dominanti quando suonano estranee o avverse al Vangelo. Essa ha il dovere di attrezzarsi culturalmente in modo adeguato, ha bisogno di persone, di credenti, soprattutto laici credenti che sappiano stare dentro il mondo e tra la gente in modo significativo. A nulla varrebbe accogliere e cercare se poi non si ha nulla da offrire. Chi incontra la parrocchia deve poter incontrare Cristo, l’identità della fede deve poter trasparire dalle parole e dai gesti: deve esserci coerenza tra fede detta, celebrata e testimoniata, osservanza dell’unico comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, traduzione nella vita dell’Eucaristia celebrata.
Quando tutto è fatto per il Signore e solo per Lui, allora l’identità del popolo di Dio in quel territorio diventa trasparenza di Colui che ne è il Pastore. Ma per giungere a questa purezza d’intendimenti e atteggiamenti è necessario che si coltivi con più assiduità e fedeltà l’ascolto di Dio e della sua parola. Solo i discepoli della Parola sanno fare spazio nella loro vita alla mitezza dell’accoglienza, al coraggio della ricerca e alla consapevolezza della verità.
Il volto della parrocchia
Come già accennato, il compito principale della parrocchia è quello di trasmettere e conservare la fede attraverso la catechesi e l’amministrazione dei sacramenti, ma soprattutto è quello di stare vicino alla quotidianità della gente che vive nel territorio.
La parrocchia nasce e si sviluppa in stretto legame con il territorio: nulla nella vita della gente, eventi lieti o tristi, deve sfuggire alla conoscenza e alla presenza discreta e attiva della parrocchia, fatta di prossimità, condivisione, cura. Ne sono responsabili il parroco, i sacerdoti collaboratori, i diaconi, ma anche le religiose hanno un particolare ruolo, per l’attenzione alla persona propria del genio femminile, e i fedeli laici, che esprimono così la loro testimonianza.
La parrocchia missionaria deve servire la vita concreta delle persone, facendosi presente nella vita dei fedeli e rispondendo alle esigenze di fede di ogni diversa fascia d’età: fanciulli, ragazzi, giovani e adulti, curando la preparazione al matrimonio e alla famiglia. Si tratta di offrire a tutti la possibilità di intraprendere cammini di redenzione e di salvezza; di rendere visibile una chiesa che accoglie tutti, nelle situazioni più disparate, e tutti accompagna, con fiducia e pazienza, all’unico medesimo Salvatore per accogliere la grazia e viverne la sequela.
Un ruolo importante gioca “il parroco, che da uomo di Dio esercita il suo ministero in modo integrale, cercando i fedeli, visitando le famiglie, partecipando alle loro necessità, alle loro gioie; corregge con prudenza, si prende cura degli anziani, dei deboli, degli abbandonati, degli ammalati e si prodiga per i moribondi; dedica particolare attenzione ai poveri e agli afflitti; si impegna per la conversione dei peccatori, di quanti sono nell’errore, e aiuta ciascuno a compiere il proprio dovere, fomentando la crescita della vita cristiana nelle famiglie” (CDC) .
Ogni attimo della vita umana deve trovare la parrocchia pronta ad offrire la presenza e l’amore del Signore, che incessantemente si prende cura dei suoi figli. La comunità, inoltre, deve esprimere vicinanza e prendersi cura dei matrimoni in difficoltà e delle situazioni irregolari, aiutando a trovare percorsi di chiarificazione e sostegno per il cammino della fede.
Presenza sul territorio vuol dire sollecitudine verso i più deboli e gli ultimi, farsi carico degli emarginati, servizio dei poveri, premura per i malati e per i minori in disaggio, fino a suscitare domande circa i veri bisogni umani, e aprendo così cammini di comunione, ma anche capacità, da parte della parrocchia d’interloquire con gli altri soggetti sociali nel territorio.
La cultura del territorio è composizione di voci diverse, non può e non deve mancare quella del popolo cristiano, con quanto di bene sa dire, nel nome del Vangelo, per il bene di tutti. Le aggregazioni di laici nella parrocchia si facciano parte attiva dell’animazione del paese negli ambiti della cultura, del tempo libero, ecc. Soprattutto l’ambito culturale ha bisogno di una presenza vivace da affiancare a quella già sperimentata e riconosciuta sul versante sociale.
Il radicamento della parrocchia nel territorio si esprime anche nel servizio che essa deve rendere alla gente per aiutarla ad affrontare, con sguardo evangelico, il discernimento dei fenomeni culturali che orientano la vita sociale.
Le parrocchie, con il supporto della diocesi, possono assumere un ruolo di mediazione nell’ambito del “progetto culturale”, per far sì che il vissuto non solo sia interpretato, ma anche creato, a partire da una cultura cristiana ispirata.
Ogni parrocchia ha i suoi doni per potere in modo proprio e specifico mostrare una “chiesa serva” tra i bisognosi, nella cultura, sul territorio, nella politica.
La parrocchia deve essere missionaria, cioè deve sentirsi inviata tra gli uomini e capace di testimoniare la buona notizia, di evangelizzare: essa è il soggetto dell’evangelizzazione, in quanto tale, nelle sue molteplici articolazioni e in tutti i suoi membri.
La parrocchia tutta insieme, “secondo i doni e le modalità proprie di ciascuno dei suoi membri, è chiamata alla preghiera, alla parola, al servizio, affinché il vangelo possa essere annunciato” (CEI, Evangelizzare il sociale). Ma cosa significa testimonianza? Significa anzitutto vivere la vita cristiana, giungendo a esprimere compiutamente la vocazione ricevuta nel battesimo, vivendo cioè una vita conforme a quella vissuta da Gesù. Egli ci ha mostrato l’uomo autentico, l’adam “a immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1, 26-27), ci ha “insegnato a vivere in questo mondo” (Tt 2, 11-12), ci ha dato l’esempio della vera vita umana, vissuta come opera d’arte! La prima testimonianza del cristiano consiste dunque nel conformare la propria vita a quella di Gesù Cristo, una vita segnata dalla fede come adesione al Dio vivente, animata dalla speranza che la morte è stata vinta dalla resurrezione di Gesù, una vita contraddistinta dall’amore in obbedienza al “comandamento nuovo: Amatevi gli uni glia altri come io vi ho amati” (Gv 13,34). La parrocchia è lo spazio per questa testimonianza, il luogo per operare e realizzare tale forma di vita giorno dopo giorno.
Il compito fondamentale della parrocchia è quello di essere il luogo che favorisce l’incontro tra la fede cristiana e le condizioni della vita di ogni giorno; la vocazione cristiana non comporta l’abbandono della condizione assegnata dalle forme della vita umana (la famiglia, la professione, il lavoro, lo status sociale). Il servizio alla fede degli adulti è quello che li conduce a compiere scelte evangeliche precisamente a proposito delle situazioni di vita e delle responsabilità che appaiono loro le più rilevanti e che sono molto più significative per manifestare le vere intenzioni del cuore. Il volto missionario della parrocchia si manifesta là dove si offre a tutti la possibilità di crescere nella fede, di rendere possibile un autentico vissuto spirituale per il credente nella normale condizione di esistenza: “gli uomini del nostro tempo chiedono ai credenti di oggi non solo di parlare di Cristo, ma in un certo senso di farlo vedere.
E non è forse compito della Chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio?” (Novo millennio ineunte). Se è capace di questa “vita cristiana” visibile e leggibile dagli uomini nella sua “differenza”, la parrocchia non potrà mai scadere a “stazione di servizi religiosi”, così come non potrà mai vivere in modo autosufficiente, contenta di se stessa.
In tal modo la parrocchia si presenta come un’istituzione vicina a tutti, capace di valorizzare ogni occasione di contatto come possibile punto di partenza per un reale cammino di fede fino alla santità.
Le aggregazioni laicali
All’interno di ogni parrocchia sono presenti le aggregazioni laicali costituite da associazioni, gruppi, movimenti, confraternite, congregazioni. L’aggregarsi dei fedeli laici è una ragione ecclesiologica: il Concilio vaticano II, riconosce nell’apostolato associato un «segno della comunione e dell’unità della Chiesa in Cristo».
Queste aggregazioni di laici si presentano spesso assai diverse le une dalle altre in vari aspetti, come la configurazione esteriore, i cammini e metodi educativi, e i campi operativi: ogni associazione, movimento, congregazione, confraternita, etc si distingue per il proprio carisma! Trovano però le linee di un’ampia e profonda convergenza nella finalità che le anima: quella di partecipare responsabilmente alla missione della Chiesa di portare il Vangelo di Cristo come fonte di speranza per l’uomo e di rinnovamento per la società.
Le varie forme aggregative devono rappresentare un aiuto prezioso per una vita cristiana coerente alle esigenze del Vangelo e per un impegno missionario e apostolico. Esse sono un «segno» che deve manifestarsi nei rapporti di «comunione» sia all’interno che all’esterno delle varie forme aggregative nel più ampio contesto della comunità cristiana.
Proprio la ragione ecclesiologica indicata spiega, da un lato il «diritto» di aggregazione proprio dei fedeli laici, dall’altro lato la necessità di «criteri» di discernimento circa l’autenticità ecclesiale delle loro forme aggregative. E’ anzitutto da riconoscersi la libertà associativa dei fedeli laici nella Chiesa. Tale libertà è un vero e proprio diritto che non deriva da una speciale “concessione” dell’autorità, ma che scaturisce dal Battesimo, quale sacramento che chiama i fedeli laici a partecipare attivamente alla comunione e alla missione della Chiesa. Al riguardo è del tutto chiaro il Concilio: «Salva la dovuta relazione con l’autorità ecclesiastica, i laici hanno il diritto di creare e guidare associazioni e dare nome a quelle fondate».
E il recente Codice testualmente afferma: «I fedeli hanno il diritto di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure associazioni che si propongano l’incremento della vocazione cristiana nel mondo; hanno anche il diritto di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità». Si tratta di una libertà riconosciuta e garantita dall’autorità ecclesiastica e che dev’essere esercitata sempre e solo nella comunione della Chiesa: in tal senso il diritto dei fedeli laici ad aggregarsi è essenzialmente relativo alla vita di comunione e alla missione della Chiesa stessa. E’ sempre nella prospettiva della comunione e della missione della Chiesa, e dunque non in contrasto con la libertà associativa, che si comprende la necessità di criteri chiari e precisi di discernimento e di riconoscimento delle aggregazioni laicali, detti anche «criteri di ecclesialità».
Come criteri fondamentali per il discernimento di ogni e qualsiasi aggregazione dei fedeli laici nella Chiesa si possono considerare, in modo unitario, i seguenti:
- Il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità, qualsiasi aggregazione di fedeli laici è chiamata ad essere sempre più strumento di santità nella Chiesa, favorendo e incoraggiando «una più intima unità tra la vita pratica dei membri e la loro fede.
- La responsabilità di confessare la fede cattolica, accogliendo e proclamando la verità su Cristo, sulla Chiesa e sull’uomo in obbedienza al Magistero della Chiesa, che autenticamente la interpreta. Per questo ogni aggregazione di fedeli laici dev’essere luogo di annuncio e di proposta della fede e di educazione ad essa nel suo integrale contenuto.
- La testimonianza di una comunione salda e convinta, in relazione filiale con il Papa, perpetuo e visibile centro dell’unità della Chiesa universale, e con il Vescovo «principio visibile e fondamento dell’unità» della Chiesa particolare, e nella «stima vicendevole fra tutte le forme di apostolato nella Chiesa». La comunione con il Papa e con il Vescovo è chiamata ad esprimersi nella leale disponibilità ad accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali. La comunione ecclesiale esige, inoltre, il riconoscimento della legittima pluralità delle forme aggregative dei fedeli laici nella Chiesa e, nello stesso tempo, la disponibilità alla loro reciproca collaborazione.
- La conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa, ossia «l’evangelizzazione e la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza, in modo che riescano a permeare di spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti». In questa prospettiva, da tutte le forme aggregative di fedeli laici, e da ciascuna di esse, è richiesto uno slancio missionario che le renda sempre più soggetti di una nuova evangelizzazione.
- L’impegno di una presenza nella società umana che, alla luce della dottrina sociale della Chiesa, si ponga a servizio della dignità integrale dell’uomo. In tal senso le aggregazioni dei fedeli laici devono diventare correnti vive di partecipazione e di solidarietà per costruire condizioni più giuste e fraterne all’interno della società.
I criteri fondamentali ora esposti trovano la loro verifica nei frutti concreti che accompagnano la vita e le opere delle diverse forme associative quali: il gusto rinnovato per la preghiera, la contemplazione, la vita liturgica e sacramentale; l’animazione per il fiorire di vocazioni al matrimonio cristiano, al sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata; la disponibilità a partecipare ai programmi e alle attività della Chiesa a livello sia locale sia nazionale o internazionale; l’impegno catechetico e la capacità pedagogica nel formare i cristiani; l’impulso a una presenza cristiana nei diversi ambienti della vita sociale e la creazione e animazione di opere caritative, culturali e spirituali; lo spirito di distacco e di povertà evangelica per una più generosa carità verso tutti; la conversione alla vita cristiana o il ritorno alla comunione di battezzati «lontani»” (Christifideles Laici).
Pertanto, è opportuno che i fedeli, che decidono di entrare a far parte di una determinata aggregazione laicale, compiano prima un periodo di preparazione, detto anche “noviziato”, che possa servire ad approfondire la conoscenza dell’aggregazione stessa e del suo carisma, così da poter compiere una scelta consapevole e motivata che possa dare frutti di conversione.
L’appartenenza ad un’aggregazione laicale deve avere come “obiettivo fondamentale la scoperta sempre più chiara della propria vocazione e la disponibilità sempre più grande a viverla nel compimento della propria missione” (Christifideles Laici): essa è l’espressione dell’acquisita consapevolezza della consacrazione ricevuta nel battesimo e del suo attuarsi concretamente in uno stile di vita.