Breve nota storica sulla chiesa di Santa Maria d’Altofonte
La nascita della nostra comunità è legata alla fondazione dell’Abazia di Santa Maria d’Altofonte, voluta dal re Federico II d’Aragona, il quale, il 25 marzo 1306, giorno dell’Annunciazione, la consegnò ai monaci cistercensi. L’abazia sorgeva in un luogo vicino alla città di Palermo, che allora veniva chiamato Parco Nuovo, fondato da Re Ruggero.
Grazie alla prospera gestione dei monaci, al monastero di Santa Maria vennero concessi numerosi privilegi, tanto che divenne una vera baronia, e attorno ad esso sorse il paese di Parco. Ben presto l’Abate di Santa Maria di Altofonte divenne membro del braccio ecclesiastico del Parlamento di Sicilia.
Tra l’Abate e il re si stabilì un rapporto feudale, che si accentua nel XV secolo, quando l’Abazia viene trasformata in Commenda, non più affidata ai Monaci ma ad abati commendatari, nominati dal Re di Sicilia. Nel XV secolo l’ufficio della commenda era diventato molto ambito, data la ricchezza dell’Abazia, si susseguirono così, come abati, insigni cardinali ed esponenti di nobili casati.
Tra questi, nel 1618, l’elezione spettò al Cardinale Scipione Borghese, nipote di Papa Paolo V, che nel 1633 fece erigere la nuova Chiesa di Santa Maria di Altofonte, l’attuale chiesa parrocchiale. Nel 1707, il re ordinò ai monaci di trasferirsi nel monastero messinese e consegnare la chiesa e l’abazia ai sacerdoti secolari. Così, nel 1768, per decreto di Mons. Testa arcivescovo di Monreale, veniva istituita la Parrocchia di Santa Maria di Altofonte, con un parroco, quattro vicari curati e un coadiutore. Sino al 1770 l’abazia fu dedicata alla Madonna con il titolo di Santa Maria di Altofonte. Nel 1771, appena eletto parroco Don Bartolomeo Gioitto, fu invece dedicata e messa sotto la protezione di S. Anna che, il 10 gennaio 1882, veniva proclamata patrona di Parco con approvazione pontificia. Nel 1930, durante la visita di Mons. Filippi arcivescovo di Monreale, la Parrocchia Santa Maria di Altofonte fu insignita del titolo di Arcipretura.
All’interno della chiesa di Santa Maria d’Altofonte si trovano numerose opere d’arte che, oltre alla bellezza artistica e al messaggio evangelico in esse contenuto, ci tramandano il glorioso passato dell’abazia e la ricchezza e la cura con la quale gli abati si premurarono di adornare l’edificio.
Presentazione di alcune delle opere più belle e rappresentative della nostra storia.
Entrando in chiesa non si può fare a meno di notare la grande tela dell’Annunciazione che troneggia sull’altare maggiore in stile barocco, realizzato in marmi policromi.
Il grande quadro, opera, probabilmente del pittore palermitano Gaetano Mangani, allievo di Pietro Novelli, oltre a riportare alla nostra mente il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio nel seno Verginale di Maria, ci ricorda la fondazione dell’abazia (avvenuta il 25 marzo 1306 – giorno dell’annunciazione) che segnò l’inizio di Parco.
In alto, Dio Padre, che viene raffigurato dal pittore come un uomo anziano, con la barba bianca, ha sulla testa un triangolo, che rappresenta la SS.ma Trinità, e nella mano sinistra tiene un piccolo scettro, segno della sua regalità.
La parte superiore del quadro rifulge della luce del Paradiso, in cui si adagiano e si beano angeli e serafini.
Nella parte centrale la colomba, simbolo dello Spirito Santo, emana un raggio della luce divina sulla Vergine Maria, e l’angelo Gabriele che, con la mano destra offre un giglio a Maria e con il braccio sinistro indica il Padre Eterno benedicente.
In basso a destra Maria in ginocchio, accoglie l’annuncio con il braccio poggiato sul Libro, la Parola di Dio sulla quale la fanciulla ha fondato tutta la sua esistenza al punto che, la Parola, il Verbo, proprio in quell’istante, “si è fatto carne” nel suo grembo.
La bellezza di questo quadro sta nella capacità di mostrare la dinamica dell’avvenimento narrato e i sentimenti dei protagonisti: il compiacimento nel volto del Padre al si di Maria, l’umiltà’, la mitezza, la purezza nel volto e nella posa della fanciulla.
A sinistra di chi entra un grande dipinto su tela ci fa capire subito che ci troviamo in una chiesa di origine cistercense.
Autore anonimo, probabilmente fiammingo, del XVII secolo, la tela raffigura la Madonna con il bambino e ai suoi piedi S. Benedetto, fondatore dell’ordine dei Benedettini, e San Bernardo, fondatore dell’ordine dei Cistercensi (che ha origine dai benedettini).
Guardando i volti di Dio Padre, di Maria e del bambino, che sono molto espressivi e comunicativi, non si può non notare una certa somiglianza nel loro sguardo.
San Benedetto si fa beato nel contemplare Maria, è estasiato e nonostante sia anziano e con la barba bianca il suo volto sembra quello di un bambino.
San Bernardo, cantore di Maria, con la sua mano indica, ai monaci che sono con lui e a chi entra nella chiesa, ad avere lo sguardo sempre rivolto verso di Lei: Guarda la stella, invoca Maria.
Nello stesso altare si trova una piccola statua raffigurante l’Immacolata Concezione, proveniente dalla rinomata bottega del Quattrocchi di Ganci e modello di un simulacro realizzato, o che l’autore aveva intenzione di realizzare.
Più avanti si trova il gruppo scultoreo della Natività in terracotta policroma, attribuita alla Bottega del Gagini, XVI sec.
Nei volti dei protagonisti si può ammirare la bellezza e l’intensità dell’espressione: il bambinello gioioso e sereno, la madre Maria, avvolta in un mantello azzurro con le stelle e la veste di colore rosso, in atteggiamento di preghiera e di adorazione nei confronti del bambino che è suo figlio ma anche il suo Dio sceso in terra, e Giuseppe, anche lui in ginocchio in atteggiamento di colui che adora, con le mani aperte manifesta lo stupore, la meraviglia del cuore per la grandezza del dono ricevuto.
Sotto la natività è posta la Dormitio Mariae, opera di un anonimo del XIX secolo, il cui corpo è fatto di paglia e le mani e il volto sono in legno.
Proseguendo, nella navata laterale sinistra, spicca imponente un Crocifisso Nero che risale al 1600, durante la permanenza dei monaci cistercensi nell’Abbazia Santa Maria di Altofonte e precedentemente collocato presso una piccola cappella in un baglio detto Romei, lungo l’antica via di accesso al paese che, al tempo dei monaci, era la foresteria del convento.
La croce che sostiene il Cristo è di legno mentre il Crocifisso è modellato con un impasto di gesso particolarmente duro detto pastiglia.
Il crocifisso è a grandezza naturale e colpisce lo sguardo del visitatore perché di colore nero; dal punto di vista anatomico è considerato un capolavoro nella proporzione di tutte le sue parti.
È da evidenziare soprattutto il suo volto in quanto esprime non l’angoscia di chi muore ma la signoria di Colui che ha vinto la morte con la risurrezione.
Ai piedi del grande Crocifisso Nero, si trova esposto il Quadro dell’Addolorata, un dipinto ad olio su ardesia, vetrificata con una resina naturale.
L’opera, di ottima fattura, risale probabilmente ai primi del 1700. Le caratteristiche della pittura non sono tali da poterla attribuire, tuttavia, l’autore era molto capace e ha dato vita ad un vero capolavoro che non va confuso con l’arte popolare.
Il dipinto è raffinato nelle sue forme e nei colori e la pregiata cornice in legno intagliato conferma che l’opera non era destinata ad un luogo esterno ma ad una chiesa.
L’ardesia, infatti, pietra lavica originaria delle zone vicine Catania, era comunemente usata per luoghi esterni come “cappellette” o edicole votive. Sul retro si legge la data 1778.
Nell’altare del Crocifisso Nero e dell’Addolorata si trovano due nicchie laterali: a sinistra è conservata una statua lignea raffigurante San Francesco d’Assisi, probabilmente dovuta alla presenza del Terz’ordine francescano, voluto dal padre Sisto Camilleri, nella prima metà del ‘900, nella comunità; a destra si trova la statua del Sacro Cuore, in carta pesta policroma dei primi del ‘900, donata alla comunità dal parroco Sciortino e dalla sua famiglia.
A destra di chi entra nella chiesa di Santa Maria d’Altofonte si può subito notare un bassorilievo in marmo, posto sull’altare laterale. Al centro della lastra di marmo spicca la figura della Madonna sedente con il Bambino sulle ginocchia, ai lati stanno due scudi: a sinistra di chi guarda quello di Sicilia; a destra quello d’Aragona.
Sotto, due scudi più piccoli: l’uno portante un cane rampante, rozzamente scolpito, e l’altro un monogramma (Altfte) con lettere che compongono le due parole Alto Fonte.
Nell’angolo inferiore destro è l’iscrizione in latino: l’anno del Signore 1328, 11a Indizione, fu eseguita quest’opera, al tempo di Fr. P. (fra’ Pietro) Abate di S. Maria di Altofonte; il cane rampante è lo stemma dello stesso abate.
Da una iscrizione ritrovata sappiamo che il pio e zelante Guzio, terminata la costruzione del monastero nel 1328, nel primo dormitorio, sopra la porta che immetteva nell’appartamento dell’abate, fece collocare l’immagine della Madonna di Altofonte come stemma glorioso dell’abbazia.
Per questa ragione si suppone che l’istituzione del culto di Maria SS di Altofonte sia avvenuta sotto la reggenza dell’abate Pietro Guzio (1318-1340).
In alto, sul Bassorilievo, si trovano il simulacro e un quadro raffiguranti Santa Rosalia: il simulacro, opera di un intagliatore palermitano del XIX secolo, vicino allo stile della bottega del Bagnasco, raffigura la Santa con i tipici simboli; nel quadro la vediamo nella grotta della Quisquina, o di Monte Pellegrino, dopo aver fatto voto di vivere in perfetta penitenza e donazione al Signore, in atto di offrire il suo cuore a Dio, con la mano destra, e l’angelo la corona con l’abbraccio del suo sposo.
Procedendo, in una nicchia laterale, è posta la statua di San Michele Arcangelo, in legno policromo intagliato, opera di un anonimo della prima metà del XVIII secolo.
Più avanti si trova il simulacro di Sant’Anna e Maria bambina. Si tratta di un’opera d’arte che presenta molte caratteristiche tecniche ed artistiche, sia nell’intaglio che nelle cromie, che ci riportano alla bottega del Quattrocchi di Ganci.
Il simulacro, commissionato dal parroco Bartolomeo Gioitto, dopo la sua nomina a parroco di Santa Maria d’Altofonte, avvenuta nel 1771, mise la parrocchia sotto la protezione di Sant’Anna, allo scopo di cancellare al più presto il ricordo dei cistercensi.
Raccolse una buona somma e, allo scultore palermitano Occhipinti, probabilmente allievo del Quattrocchi, fece scolpire su legno un’effige della nuova protettrice.
Oggi il simulacro viene riportato in studi specifici come uno dei più pregevoli dell’Isola. Sul retro un’incisione “1771” dà conferma della data della sua creazione.
Tuttavia, formalmente l’elezione di Sant’Anna a patrona principale di Parco avvenne il 15 Maggio 1819 da parte della Sacra Congregazione dei Riti, pertanto, l’anno prossimo la nostra comunità celebrerà 200 anni della nostra protettrice.
Ma perché la scelta dei nostri padri cadde su Sant’Anna?
Probabilmente perché i genitori della Vergine e San Michele Arcangelo erano oggetto di grande devozione del popolo normanno. Pertanto, tale scelta rafforzava l’origine e le tradizioni normanne di Parco. In effetti si riscontrano segni analoghi in altri centri di origine normanna: Castelbuono, che conserva una reliquia di S Anna, Santa Flavia la cui chiesa Madre è intitolata a S. Anna e Partinico, dove nel 1799 veniva eletta la Chiesa di San Gioacchino.
Più avanti, un antico fonte battesimale in marmo, di eleganti linee barocche, posizionato davanti ad una nicchia con un affresco raffigurante l’annuncio dell’angelo, in un luogo simbolico del sepolcro vuoto, realizzato nell’ultimo restauro avvenuto nel 2019.
In quell’occasione è stata realizzata anche la pavimentazione del presbiterio, così come oggi la possiamo ammirare: due ellissi, con le croci ad otto punte iscritte, sono state realizzate in marmi pregiati giallo, rosso e verde.
La cornice dell’ellisse di base e i gradini di accesso sono in marmo bianco.
Per la cerimonia della dedicazione dell’altare sono state realizzate dodici croci in oro zecchino e vetro pregiato, incastonate nei plinti delle dodici lesene della chiesa (Ap 21,14 e seg).
Sul presbiterio si può ammirare un organo a canne del ‘600.
Al centro dell’ellisse è posto un podio a base quadrata che riporta un altorilievo della Crocefissione.
La scena è scolpita in marmo bianco statuario dallo scultore americano Cody Swanson e si auspica che al più presto possa essere accompagnata da altre due scene, raffiguranti l’Ultima Cena e la Risurrezione, che al momento non sono state realizzate per mancanza di fondi.
Nel quarto pannello bianco del basamento, sono collocate delle reliquie. Sul podio è adagiata una mensa rettangolare, scolpita al di sotto con dodici costole, evocative della Chiesa che nasce dal Sacrificio del Calvario.
Questa breve presentazione si conclude con il dipinto della Cena di Emmaus che, in seguito al restauro della chiesa, avvenuto nel 2005, fu collocato in alto, sopra l’ingresso principale.
Si tratta di una copia della Cena in Emmaus, dipinta da Caravaggio, e conservata a Londra, che ha un singolare significato per la nostra comunità. Infatti, esiste un’altra copia, di “alta qualità”, dell’opera di Caravaggio, conservata a Palazzo Abatellis.
Questa copia fu probabilmente dipinta da un anonimo su commissione del Cardinale Scipione Borghese, nei primi del XVII secolo, il quale la inviò al monastero di Santa Maria d’Altofonte. Successivamente, si presume, che questa Cena sia finita a Monreale, al palazzo arcivescovile e, dopo un restauro, arrivò e rimase tra i beni dell’allora Galleria Nazionale di Sicilia.
Pertanto, si auspica che la Cena di Emmaus di Palazzo Abatellis, possa un giorno tornare a far parte del patrimonio artistico-culturale della Chiesa di Santa Maria d’Altofonte, proprio come era nell’intenzione del Cardinale Scipione Borghese.